La psicotecnica di Stanislavskij

Il “metodo per attuare i sentimenti” di Stanislavskij è la sorprendente sintesi di un essere umano capace di armoniz­zare, con le sue vi­sioni, le sue parole, la sua arte e la sua umanità, due opposti apparente­mente inconciliabili: metodo e mondo interiore, con ciò che esso esprime. Il primo strutturato e regolato, il secondo impossibile da rac­chiudere, magmatico e fluido.

Per questo Stanislavskij è vicino al mondo della psi­cologia e della psicoterapia, universi che si si­tuano irrimediabilmente tra esigenze di flessi­bilit­à e di ri­gore, tra scienza e arte, tra stru­menti e intui­zioni, tra cervello e cuore, nell’intenzione di supe­rare l’opposizione e giun­gere all’armo­nia.

I presupposti che fondano il Metodo, connotandolo come psi­cologico, fanno sì che esso possa porre i propri strumenti al servizio dei metodi psicotera­peutici di gruppo che eleggono la drammatizza­zione a veicolo terapeutico principe. La valenza psicologica del Metodo ed i punti di contatto tracciati rispetto alla psicoterapia aprono ad un potenziale uti­lizzo del Me­todo nell’ambito del processo terapeutico. Uno strumento di ri­scalda­mento. Una tecnica per in­crementare la capacità di esprimere senti­menti. Un supporto ad incremento delle risorse espressive e dell’adesione al ruolo.

La psicotecnica è un metodo che permea l’attore a livello personale, trasformandolo come individuo prima ancora che come profes­sionista: lo sforzo continuo verso l’autenticità, il  lavoro faticoso e mai concluso sulla propria interiorità, la costruzione di un personaggio che spesso induce sofferenza, risveglia resistenze, consente cambiamenti e consapevolezze nuove. Il Metodo Stanislavskij non è letteratura, è vita e, in quanto tale, ha il potere di indurre la trasformazione.

All’incontro con il personaggio l’attore non si presenta certo impreparato: come accade per ogni incontro importante e “sentimentale”, egli ha “curato” se stesso e ha con sé un dono per il suo personaggio: la tecnica, il Metodo vissuto. L’attore, infatti ha già lavorato sulla ricerca, sull’individuazione e sul con­trollo dei meccanismi d’azione psicofisici, egli cioè ha compreso e speri­mentato come gli stati emotivi e le memorie influenzino il comportamento e l’agire fisico, ma anche come l’agire stimoli gli stati mentali ed emotivi. Ha già lavorato  con il metodo per attuare i sentimenti, ha scoperto e imparato ad amare la propria memoria emotiva, ha potenziato l’immaginazione e l’attenzione, ha imparato a sezionare il testo, individuando la linea d’azione e il tema principale, ma ha anche predisposto il suo “apparato fisico” affinché sia un duttile strumento con il quale plasmare il personaggio

Per raggiungere il personaggio l’attore deve costruire una linea ininterrotta di attenzione, attraverso la continuità della quale egli potrà impedire a pensieri ed emozioni personali, estranei al personaggio, di intromettersi ed interferire. L’attore usa ricordi, immagini e sogni pur di non interrompere la linea del personaggio: è la cosiddetta “toeletta dell’anima”. Ogni attore, spiega Stanislavskij, prima di entrare in scena indossa il costume e si trucca per avvicinare il proprio aspetto a quello del personaggio; a tale preparazione esteriore deve corrispondere il “trucco dell’anima” attraverso il quale egli si veste della vita spirituale del personaggio.

Il lavoro dell’attore su se stesso

In questa sezione sintetizzo i principali elementi che fondano il lavoro che l’attore deve compiere su di sé: elementi con i quali costruire, tessere, creare il proprio personaggio e com­porre la propria verità interiore per poterla, infine, esprimere agli altri.

Questi gli ingredienti interiori, la materia prima che l’attore deve mettere a disposizione con generosità: immaginazione, attenzione e memoria emotiva

Immaginazione

Senza immaginazione l’attore è disarmato. È la risorsa che gli consente il salto dalla finzione alla verità, ma non solo. Il testo teatrale non racconta che cosa sia avvenuto prima della commedia, non inquadra la vita dei personaggi con compiutezza, non descrive neppure i dettagli della situa­zione e ancor meno i movimenti e i ritmi che il personaggio dovrà assu­mere. Entra qui in gioco uno strumento indispensabile per l’attore, la sua immaginazione, che volteggiando sulle cose, colma il vuoto lasciato dall’autore e crea gesti nuovi, modi unici, ritmi assolutamente personali.

Attenzione

L’attore deve saper stare solo in mezzo al pubblico, per poter entrare nella scena con tutto il suo essere. Attraverso la concentrazione egli crea uno spazio di quiete in cui la verità possa accomodarsi. il Metodo prevede esercizi e tecnica per evitare la distra­zione: partendo da un singolo oggetto in scena – l’oggetto-punto – l’attenzione viene estesa progressivamente a comprendere cerchi sempre più ampi, i “cerchi di attenzione”, fino a includere tutto e soltanto lo spazio scenico. L’attenzione viene poi portata all’interno; non per questo la tecnica da applicare è differente, e il Metodo prevede esercizi per escludere dall’attenzione pensieri o immagini non desiderate ed altri che aiutino a fermare la concentrazione su quello che è necessario per la parte.

Memoria emotiva

“Se sei capace di impallidire o di arrossire per un ricordo, se hai paura di pensare a una disgrazia passata molto tempo fa, tu hai la memoria dei sentimenti, la memoria emotiva.” Così Stanislavskij  descrive la memoria emotiva. In essa risiedono sia sentimenti primari, inconsci, potenti e di breve durata che sfuggono al controllo sovrastando la persona, sia sentimenti più elaborati, filtrati, maggiormente leggibili e controllabili. Entrambi sono i benvenuti sulla scena: i primi costituiscono quella forma di ispirazione che ogni attore sogna di vivere, perché inat­tesa, totale, che trova la sua radice nell’inconscio. Ma sono solo i secondi a costituire il serbatoio della sua memoria emotiva, dal quale l’attore può attingere nel suo lavoro sul personaggio. Quanto finora detto conduce alla necessità che l’attore, per poter rivestire i panni di personaggio differenti e lontani tra loro, debba ampliare il più possibile la sfera delle proprie emo­zioni. Essa viene arricchita soltanto attraverso il vivere.

Gli Strumenti

il se magico

le sezioni e i compiti di azione

il tempo-ritmo

le azioni fisiche

Per poi giungere alla “reviviscenza”, per attuare la creazione, Stanislavskij pone a disposizione dell’attore alcuni preziosi strumenti per aprire la via alla verità interiore. La loro portata è ampia, non si tratta affatto di  “trucchi del mestiere”, che Stanislavskij aborrisce riconoscendo in essi l’origine di quel modo meccanico e manieristico di fare teatro che egli combatté per tutta la vita, ma di mezzi che lasciano ampio spazio all’individualità dell’attore e alle esigenze del personaggio, mai costringendole in schemi rigidi e pre­ordinati. L’uso del “se magico”, la strada delle azioni fisiche, le sezioni e i compiti d’azione, il tempo-ritmo personale sono al servizio della persona­lità e della creatività dell’attore e mai viceversa.

I motori della creazione: inconscio, volontà, intelletto e sentimento

L’origine del processo creativo sta in tre elementi “primari” cioè non derivabili da altro: l’intelletto (descritto poi come rappresenta­zione e giudizio), la volontà e il sentimento. Essi sono in grado di organiz­zare e muovere il mondo interiore, risvegliato dalla tecnica,  guidando gli elementi del Metodo verso la sua meta ultima, creativa ed espressiva.Stanislavskij non individua Il potenziale espressivo dell’attore nel “mitico talento”, bensì in qualcosa che dal talento viene rappresentato esteriormente senza coincidervi: il subconscio. Nei momenti “magici”, durante i quali si realizza pienamente la revi­viscenza, l’attore dimentica se stesso, l’appartenenza interiore al personaggio è continua ed egli crede costantemente a quello che succede in scena. L’inconscio è l’unica fonte che alimenta la reviviscenza, l’attore deve per­tanto ricercarlo, poiché esso, in teatro, sfugge. Il subconscio, spiega il pedagogo russo, è presente costantemente nella vita reale, in ogni scelta, azione, immagine, emozione. Non così in scena, dove la preparazione precisa delle scenografie, della parte, delle dinamiche, costruisce una situazione fissata “una volta per tutte” e questo ostacola l’emergere del subconscio.

La verità scenica

La verità scenica è profondamente differente da quella della vita: Stanisla­vskij paragona la prima ad un quadro e la seconda ad una fotografia. La verità scenica è, cioè, libera da dettagli superflui diversamente dalla realtà, per questo può raggiungere una sua essenzialità poetica: è arte.

Comunicazione e contatto

L’attore non è mai solo. Non deve essere isolato bensì sempre in contatto, per poter nutrire la sua anima e la sua creatività. Il suo viaggio creativo ed espressivo non è solitario, ma vissuto in compagnia di altri e di altro. L’attore deve essere in comunicazione prima di tutto con la propria interio­rità, con la propria parte altra, distinta dalla mente che pensa e recita il copione, la parte che egli identifica con l’emotività e che colloca fisica­mente nel plesso solare, centro vitale di energia. Stanislavskij descrive poi la comunicazione con gli altri attori-personaggi sulla scena, che  deve essere continuativa e sempre rinnovata, fatta di ascolto reale, attenzione reciproca e curiosità. Il contatto con gli oggetti, reali o immaginari, è un’altra forma di “relazione” che l’attore deve instaurare, è un dare e ricevere che arricchisce il suo mondo: il dare interesse all’oggetto, il “rifletterci su” dell’attore viene ripa­gato dalla conoscenza dell’oggetto che restituisce a chi entra in contatto con esso la propria forma, la propria funzione, i dettagli più nascosti, un po’ della propria  storia. Infine il contatto con il pubblico, una vera e propria relazione che dà senso all’arte scenica. Per Torcov infatti recitare senza pubblico è come cantare in una stanza senza risonanza. È lo spettatore a creare “l’acustica spiri­tuale”, poiché riceve sentimenti vivi di chi si muove sul palco e, come un diapason, gli restituisce i propri.

La linea d’azione

La linea d’azione si disegna attraverso il tema principale, che Stanislavskij chiama anche super-compito, alla realizzazione del quale tutte le azioni, tutti i compiti di tutti i personaggi e quindi l’opera intera, aspirano. Il tema principale dà senso a tutto l’evolversi della storia, motivando ogni movi­mento esteriore e interiore. Pertanto ogni aspirazione personale e ogni gesto agito senza rapporto con il tema principale è una nota stonata che allontana la commedia dal suo fluire armonico. L’attore sceglie il super-compito che motiverà il suo personaggio e lo guiderà attraverso le spire insidiose della trama, ma esso deve essere vicino ai disegni dell’autore e soprattutto “provocare una risposta nell’animo dell’attore”. Per chiarire il significato e l’importanza fondamentale del tema principale Stanislavskij porta l’esempio di un grande personaggio, Amleto: se il problema principale di Amleto viene individuato nel vendicare la memoria del padre l’intera opera diven­terà un dramma familiare, se invece il principe di Danimarca si pone il super-compito di scoprire il segreto della vita la storia si svilupperà come tragedia mistica. 

La scelta del problema (tema) principale è dunque un momento fonda­mentale che dà un indirizzo e un significato al tutto. Il tema principale non deve mai venire meno nell’attore, per tutta la durata del dramma, poiché esso crea la linea d’azione, la quale a sua volta pone ogni elemento del Metodo ed i motori della vita psichica in tensione verso la sua realizza­zione, che diviene il punto ideale di convergenza energetica.

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